Titolo: Lo schiaffo
Tecnica: Olio e acrilico su tela
Dimensione: Cm 30 x 40
Anno di esecuzione: 2020
Nel 1303 Bonifacio VIII riceve uno “schiaffo” da Sciarra Colonna, acerrimo nemico della famiglia del Papa, i Caetani. Forse è leggenda il fatto che il pontefice sia stato schiaffeggiato con un guanto di ferro; è più presumibile pensare che lo schiaffo sia metafora di un oltraggio morale. Sciarra e i suoi accoliti intendevano far abdicare il Papa e trasferirlo a Parigi sotto il controllo della Francia, ma il progetto non ebbe esito positivo. Tuttavia il fato volle che Bonifacio VIII morisse un mese dopo la sua liberazione e la Francia potesse cogliere l’occasione di controllare il papato, trasferendo la Santa Sede ad Avignone – anche grazie all’elezione di un cardinale francese che prenderà il nome di Clemente V. Questa storia rivela l’intenzione sia del re Filippo il Bello sia del Papa Clemente V di distruggere “L’Ordine dei Templari” al fine d’impossessarsi dei loro averi.
Il dipinto si ispira ai fatti storici succitati, trasferendoli nella nostra epoca, non meno drammatica di quella del 1300, in cui la cristianità è messa in serio pericolo dallo stesso pontificato.
Il Papa, che è il Vicario di Cristo, dev’essere uno e unico sulla Terra. Egli non può dare le dimissioni, ma può abdicare per cause gravissimi; se tra queste vi fossero i motivi di salute che qualcuno adduce alle dimissioni di S.S. Benedetto XVI, non si spiegherebbe il fatto che, nonostante l’età avanzata, egli goda di buona salute, sia fisica che mentale.
Nell’opera emerge una personale speculazione, ovvero che Benedetto XVI sia stato indotto all’abdicazione e che questa risulti, quindi, non valida. Un ulteriore personale dubbio è che un Gesuita, come l’attuale sommo pontefice, in virtù della propria regola non possa divenire Cardinale né tantomeno Papa.
Oggi Francesco sembra essere orientato a un’unica religione mondiale, che non pone al proprio centro Gesù Cristo, ma lo rinnega in una sorta di omicidio del Cristianesimo. Alla sua ostentata accoglienza verso tutti sembra mancare una linea di demarcazione necessaria tra i bisognosi e coloro i quali fanno sfoggio del loro bisogno per insinuarsi in una civiltà e, pericolosamente, sovvertirne i valori.
L’opera pone l’accento sull’immagine della basilica di San Pietro a Roma, sede della Cristianità e simbolo del potere, monca della cupola, quale elemento di unione tra cielo e terra, di riconciliazione di Dio con l’uomo, a cui dona se stesso nella carne del proprio Figlio unigenito.
Nel contempo la frattura si consolida nella figura di un “antipapa”, il quale vola a ritroso nel tempo trasformandosi, all’apparenza, in una scimmia, forma arcaica di un’umanità in cui non esistono tradizione, regole o dogmi.
Se nell’incisione di Dürer, Madonna con il cercopiteco, la verità, incarnata da Maria, trionfa sulla falsità, rappresentata dalla scimmia, ne “Lo schiaffo” il vescovo di Roma, che dovrebbe essere portavoce della salvezza della fede, assume le sembianze mendaci del primate.